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Dall’Aspromonte, racconto di una cucina ”incantata”
Dicono di noi L’ho girato quasi tutto questo lungo paese che è l’Italia, e so che in ogni suo angolo il bello e il brutto si inseguono e si sovrappongono.
Ma in nessun posto come in Calabria l’incanto e il degrado si danno il cambio senza soluzione di continuità, in nessun altro posto il brutto è così brutto e – di converso – il bello è così sorprendente. Gambarie, in questa fragile separazione sta tutta dalla parte dello stupore, con il suo panorama unico al mondo che consente di osservare da una seggiovia il luccichio del mare, lo stretto di Messina e le isole Eolie. Ma a Gambarie, da qualche tempo a questa parte, non si viene solo per sciare o per villeggiare, si viene anche più goduriosamente per mangiare. Si viene, insomma, per fare una puntata alle Fate dei fiori.
L’albergo-ristorante di Enzo e Teresa Milasi si lascia apprezzare per molte cose: il gusto, l’attenzione per l’ambiente, la cura per i particolari, l’accoglienza familiare e attenta riservata agli ospiti. Ma, soprattutto, le Fate dei fiori è la storia, per l’appunto illuminata dalla polverina magica delle fate, di un talento sbocciato all’improvviso tra i fornelli, quello di Enzo Milasi oggi chef di successo ma prima e per lungo tempo impegnato esclusivamente in altre attività professionali.
Le recensioni gastronomiche moriranno, prima o poi, di retorica. I racconti dei pranzi, sempre più spesso, affogano tra i superlativi e gli stereotipi. Vorrei dunque rimanere quanto più possibile semplice e concreto, con pochi ma efficaci sprazzi di fantasia – quasi come la cucina di Enzo, insomma – limitandomi a restituire al lettore la forza di una cucina che si immedesima con la ricchezza e la qualità dei prodotti che utilizza. Le Fate dei fiori è il regno calabrese dei presidi Slow Food, proposti ai clienti come mezzo per costruire una nuovo modello di agricoltura basato sull’alleanza tra chi consuma e chi produce.
Nella nostra ultima visita abbiamo iniziato il viaggio tra i sapori protetti da Slow Food e valorizzati da Enzo Minasi con un caciocavallo di Ciminà servito con degli ottimi funghi porcini aspromontani e abbiamo proseguito con uno notevolissimo cestino di canestrato aspromontano con gnocchi, zucca e salsiccia dei Nebrodi. Tra i grandi meriti della cucina di Enzo vi è anche quello di colmare una grave lacuna dell’offerta gastronomica calabrese, sostanzialmente inconsapevole delle ricchezze offerte dalla cacciagione e poco avvezza a proporre in questo ambito piatti diversi da quelli più tradizionali. La quaglia farcita che abbiamo gustato con particolare piacere è semplicemente accompagnata da una zucchina ripiena di caponatina e patate al rosmarino.
Sui dolci non abbiamo resistito alle tentazione del disordine e non abbiamo rinunciato a niente: tortino caldo al cioccolato, biancomangiare alle mandorle di Noto, dolce di ricotta con pistacchi di Bronte. Abbiamo bevuto calabrese (optando per i vini dell’azienda Tramontana e per un greco di Bianco) dall’inizio alla fine, assecondando una cantina quasi esclusivamente regionale.
Gambarie d’Aspromonte, punta estrema della Calabria, potrebbe essere l’ultimo capitolo di una storia impastata di contraddizioni e fallimenti. Ma se rovesciamo la carta del nostro menu, Gambarie può ben essere l’inizio di un altro racconto, quello di una Calabria che ha smesso di oscillare tra la riproduzione statica della tradizione e l’assimilazione asettica di una modernità pensata altrove e che finalmente apre le proprie tavole ad un’innovazione sapiente e rispettosa della propria identità. Il futuro sta arrivando, silenzioso come le fate, gustoso e sorprendente come il pranzo che vi abbiamo raccontato.
Nicola Fiorita
Dall’Aspromonte, racconto di una cucina ”incantata”
Dicono di noi L’ho girato quasi tutto questo lungo paese che è l’Italia, e so che in ogni suo angolo il bello e il brutto si inseguono e si sovrappongono.
Ma in nessun posto come in Calabria l’incanto e il degrado si danno il cambio senza soluzione di continuità, in nessun altro posto il brutto è così brutto e – di converso – il bello è così sorprendente. Gambarie, in questa fragile separazione sta tutta dalla parte dello stupore, con il suo panorama unico al mondo che consente di osservare da una seggiovia il luccichio del mare, lo stretto di Messina e le isole Eolie. Ma a Gambarie, da qualche tempo a questa parte, non si viene solo per sciare o per villeggiare, si viene anche più goduriosamente per mangiare. Si viene, insomma, per fare una puntata alle Fate dei fiori.
L’albergo-ristorante di Enzo e Teresa Milasi si lascia apprezzare per molte cose: il gusto, l’attenzione per l’ambiente, la cura per i particolari, l’accoglienza familiare e attenta riservata agli ospiti. Ma, soprattutto, le Fate dei fiori è la storia, per l’appunto illuminata dalla polverina magica delle fate, di un talento sbocciato all’improvviso tra i fornelli, quello di Enzo Milasi oggi chef di successo ma prima e per lungo tempo impegnato esclusivamente in altre attività professionali.
Le recensioni gastronomiche moriranno, prima o poi, di retorica. I racconti dei pranzi, sempre più spesso, affogano tra i superlativi e gli stereotipi. Vorrei dunque rimanere quanto più possibile semplice e concreto, con pochi ma efficaci sprazzi di fantasia – quasi come la cucina di Enzo, insomma – limitandomi a restituire al lettore la forza di una cucina che si immedesima con la ricchezza e la qualità dei prodotti che utilizza. Le Fate dei fiori è il regno calabrese dei presidi Slow Food, proposti ai clienti come mezzo per costruire una nuovo modello di agricoltura basato sull’alleanza tra chi consuma e chi produce.
Nella nostra ultima visita abbiamo iniziato il viaggio tra i sapori protetti da Slow Food e valorizzati da Enzo Minasi con un caciocavallo di Ciminà servito con degli ottimi funghi porcini aspromontani e abbiamo proseguito con uno notevolissimo cestino di canestrato aspromontano con gnocchi, zucca e salsiccia dei Nebrodi. Tra i grandi meriti della cucina di Enzo vi è anche quello di colmare una grave lacuna dell’offerta gastronomica calabrese, sostanzialmente inconsapevole delle ricchezze offerte dalla cacciagione e poco avvezza a proporre in questo ambito piatti diversi da quelli più tradizionali. La quaglia farcita che abbiamo gustato con particolare piacere è semplicemente accompagnata da una zucchina ripiena di caponatina e patate al rosmarino.
Sui dolci non abbiamo resistito alle tentazione del disordine e non abbiamo rinunciato a niente: tortino caldo al cioccolato, biancomangiare alle mandorle di Noto, dolce di ricotta con pistacchi di Bronte. Abbiamo bevuto calabrese (optando per i vini dell’azienda Tramontana e per un greco di Bianco) dall’inizio alla fine, assecondando una cantina quasi esclusivamente regionale.
Gambarie d’Aspromonte, punta estrema della Calabria, potrebbe essere l’ultimo capitolo di una storia impastata di contraddizioni e fallimenti. Ma se rovesciamo la carta del nostro menu, Gambarie può ben essere l’inizio di un altro racconto, quello di una Calabria che ha smesso di oscillare tra la riproduzione statica della tradizione e l’assimilazione asettica di una modernità pensata altrove e che finalmente apre le proprie tavole ad un’innovazione sapiente e rispettosa della propria identità. Il futuro sta arrivando, silenzioso come le fate, gustoso e sorprendente come il pranzo che vi abbiamo raccontato.
Nicola Fiorita